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Contro la cultura patriarcale

Immagine del redattore: Claudio FotiClaudio Foti

LE MADRI: DIPINTE COME INDUTTIVE, BUGIARDE, MANIPOLATRICI, MALEVOLE

15 settembre 2024


La figura materna è oggetto di una grandissima ambivalenza: fortemente amata nell’inconscio psichico e culturale degli essere umani e fortemente colpevolizzata come la responsabile di qualsiasi sventura. Così come la Madonna, al centro di un forte idealizzazione e nel contempo bersaglio di violente bestemmie.

Nei casi di denuncia per violenze – ciascuno meritevole di essere esaminato nella sua particolarità – spesso è proprio sulle madri (ma anche sugli psicoterapeuti e sugli operatori che sostengono i bambini!) che si possono addensare i sospetti e le accuse di aver indotto i loro racconti. Un pregiudizio di questo genere sabota ovviamente la possibilità di ascoltare in modo aperto, attento e rispettoso il bambino.

La Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite dichiara che “chi sospetta o denuncia abusi sui minori, soprattutto se si tratta delle madri, incontra difficoltà enormi e rischia di essere a sua volta accusato di mentire o di manipolare i bambini”. Questa accusa pende su chiunque sostenga il bambino nei casi in cui egli ha bisogno di mettere in discussione i comportamenti strumentali, oppressivi e violenti degli adulti che lo schiacciano. È indubbio che le madri rappresentano spesso l’ostacolo più forte alle tendenze appropriative della pedofilia nei confronti dei bambini .

La figura materna infatti si erge solitamente come baluardo nella difesa del figlio nei confronti di un pedofilo, il quale può dichiarare a gran voce che al bambino lui certamente vuole bene e che lo farà crescere senza inibizioni, iniziandolo alla sessualità, purché lo lascino in pace e purché la sua pratica perversa venga tollerata come espressione di un legittimo orientamento sessuale. Le madri diventano spesso il primo bersaglio contro cui si scagliano gli abusanti e coloro che avversano i processi di rivelazione delle piccole vittime di abuso.

Adultocentrismo, negazionismo, cultura patriarcale sono tre facce della stessa piramide che richiedono un’analisi critica attenta. Il successo sul piano politico e giudiziario della PAS e di teorie diagnostiche affini dimostra quanto sia imperante l’adultocentrismo che toglie al bambino la possibilità di essere ascoltato a fondo e senza pregiudizi, quanto sia persuasivo il negazionismo che vuole impedire il riconoscimento di molte violenze, invalidando le possibili testimonianze dei figli nel contesto separativo e quanto sia ancora persistente la cultura patriarcale che continua a collocare aprioristicamente le madri nel campo della distruttività e della patologia.




PATOLOGIZZARE I BAMBINI, CRIMINALIZZARE LE MADRI, DIFENDERE IL POTERE DI CONTROLLO DEI VIOLENTI

13 settembre 2024


Insisto ancora sul tema della PAS. Il suo impianto è stato superato, sconfitto dal punto di vista giudiziario e scientifico. Ma il suo spirito rimane attivo. Come voglio arrivare a dimostrare nei prossimi post.

Il figlio si contrappone con forza alle visite a un genitore percepito come violento? Per Gardner ci troveremmo di fronte alla denigrazione del padre: uno degli otto sintomi che consentono di diagnosticare la PAS.

Il bambino motiva il proprio rifiuto con determinazione e comunica esperienze negative da lui vissute? Allora vuol dire che è troppo arrabbiato, c’è una mancanza di ambivalenza e di senso di colpa, altro sintomo per affermare un’alienazione parentale! Il minore si difende dalle accuse di

essere manipolato affermando di saper ragionare con la propria testa? Per Gardner saremmo di fronte al “fenomeno del pensatore indipendente”: altro indicatore della PAS!

Se poi un figlio segnala una violenza paterna ottenendo la piena comprensione e la solidarietà della madre, questo dato soddisfa un ulteriore criterio diagnostico della ‘sindrome. Ecco la PAS: “Una partecipazione vivace e litigiosa del genitore che sostiene la denuncia”!

Il bambino reagisce comprensibilmente sviluppando gratitudine e attaccamento al genitore che gli crede e lo sostiene, in genere la madre? Ci siamo! Si può allora denunciare “l’appoggio automatico al genitore alienante” e convincersi ulteriormente della manipolazione materna! Il ragionamento diagnostico è tautologico, tende cioè a dimostrarsi su se stesso: se il bambino protesta nei confronti di maltrattamenti subìti dal padre, questo a priori è dovuto alle induzioni di una madre malevola, ostile al padre.

Invece di creare uno spazio di ascolto rispettoso del bambino per consentirgli di fare emergere il suo punto di vista, dandogli la possibilità di esplicitare le ragioni del suo malessere e la presenza di eventuali condizionamenti, la PAS ha agito come classificazione diagnostica pregiudizievole, consentendo di non considerare le dichiarazioni del minore nei procedimenti conflittuali fra genitori, nei quali vengono segnalati comportamenti irriguardosi di un genitore ai danni dei figli.

Se i bambini sono colpiti dal sospetto di essere alienati, non c’è alcuna speranza per loro di essere presi sul serio: il loro punto di vista nelle situazioni di presunta violenza in famiglia non interessa. La PAS in casi drammatici ha legittimato addirittura la prospettiva dell’allontanamento del bambino dal genitore protettivo, giudicato come “alienante” (in genere la madre).




LE RAGIONI DEL SUCCESSO DELLE TEORIE DELL’ALIENAZIONE GENITORIALE

10 settembre 2024


Gli storici dovranno in futuro chiarire i motivi per cui Richard Gardner, un apologeta della pedofilia, dai ragionamenti sconnessi, dalle produzioni intellettuali piuttosto scadenti, possa essere diventato nei primi decenni del nostro secolo il teorico più autorevole e più noto nei tribunali del mondo intero.

Ma fare i conti con il pensiero di Gardner non è solo una questione storica ma è anche questione culturale di attualità come intendo dimostrare nei prossimi post.

Gardner scrive alla fine del secolo scorso, quando negli Stati Uniti ci si confronta con due fenomeni di grande rilevanza “politica” dal punto di vista dei diritti dell’infanzia.

1. Cresce innanzitutto il numero delle madri che accedono al contesto giudiziario per l’affidamento dei figli. Sono più agguerrite di un tempo. Un fenomeno complesso, che non si può semplificare, appiattendo la varietà delle casistiche, ma che sicuramente sfida la cultura patriarcale e mette in difficoltà un numero significativo di padri maltrattanti.

2. In secondo luogo si è verificato un aumento esponenziale delle denunce relative a situazioni di violenza ed in particolare di abuso sessuale all’interno della famiglia, che chiamano in causa genitori e familiari.

La cultura patriarcale reagisce, costruendo teorie psicologiche per penalizzare le madri accusandole di alienare i figli. In base a queste teorie il bambino rifiuterebbe, sempre e comunque, di incontrare il padre non perché, per vari motivi, ne ha paura, ma perché la madre lo avrebbe manipolato in tal senso. Ovviamente ogni caso merita un’attenzione particolare. Ma nell’ottica patriarcale la risposta di Gardner è la risposta giusta al momento giusto. Attaccare la madri come alienanti significa contemporaneamente attaccare i diritti delle donne nelle cause di separazione e squalificare la credibilità dei figli denuncianti.

Qual è lo sforzo teorico di Gardner? Se emergono maltrattamenti in famiglia occorre dimostrare che non sono così estesi e gravi. Meglio ancora: occorre dimostrare che gli abusi non esistono. La pedofilia per Gardner non è nulla di grave. Anzi per lui sarebbe ingiustamente colpevolizzata. Se i

bambini stanno male, se i figli rivelano abusi, la colpa sarebbe delle madri, la colpa sarebbe dei soccorritori, dei soggetti che cercano di ascoltare e proteggere i bambini.




LA PAS E’ MORTA, VIVA LA PAS

24 agosto 2024


La PAS è morta – sostengono alcuni esperti - oggi c’è la Parental Alienation. La teoria che accusava le madri di indurre una sindrome psicopatologica nei figli (la PAS) era indimostrabile ed anche i sostenitori di un tempo non hanno la faccia per continuare a sostenerla.

Un’infinità di madri sono state criminalizzate per decenni a causa grazie alla teoria della PAS e i loro figli sono stati strappati al loro nucleo familiare. Si è prodotta una cultura che ha negato ai bambini il diritto di essere ascoltati e ha impedito l’indagine su una massa di situazioni di maltrattamento che meritavano almeno di essere approfondite. Ora i nostri esperti dicono: “Non guardiamoci più indietro!” Che problema c’è? Non una parola di autocritica e voltano pagina.

La Parental Alienation è fenomeno oggettivo e innegabile, dicono gli ex sostenitori della PAS. Esiste indubbiamente un vasto numero di bambini o di adolescenti che nel contesto di una separazione entrano in conflitto aspro con il genitore non affidatario e che si rifiutano di incontrarlo o lo incontrano con un’ansia enorme. Ciò che va contestato è il nesso che continua ad essere dato per scontato, fra il fenomeno in questione e la cosiddetta “parental alienation” ovvero il ruolo presuntamente determinante e colpevole del genitore affidatario (in genere la madre) sul rifiuto posto in essere dal minore.

Gli esperti ex PAS gridano: non è più questione di psicopatologia,

il problema è relazionale! Ma per affrontare una dinamica relazionale conflittuale nella coppia, così come nella famiglia, prima bisogna escludere l’ipotesi della violenza. E per escluderla bisogna ascoltare il bambino. La teoria dell’alienazione parentale mantiene in vita l’impianto logico e psicologico della PAS.

Se il figlio si rifiuta di incontrare un genitore (in genere un padre), quest’ultimo a priori continua ad essere esentato dalla responsabilità fondamentale di aver contribuito in modo determinante alla scelta del figlio di contrapporsi a lui. Secondo la logica dell’ “alienazione parentale” , al di là dell’analisi specifica della situazione specifica, la causa e la colpa vanno comunque cercate nella persona del genitore affidatario (in genere la madre).

La PAS è superata? Ma la madre può continuare ad essere criminalizzata e il genitore violento continua ad essere sostanzialmente esentato dall’indagine su qual è stato il suo contributo determinante al rifiuto del figlio.

Ciò che non cambia dunque rispetto al passato è l’esigenza del genitore rifiutato (in genere il padre) di respingere la riflessione sulle proprie colpe e sulle proprie responsabilità. Se c'è stato un maltrattamento o un abuso che ha determinato l’allontanamento del figlio dal padre, quest’ultimo continua ad avvertire la necessità di trovare un esperto che lo aiuti a rendere non accaduto quel maltrattamento e quell’abuso, a cancellare le tracce della violenza che ha spinto il figlio a non volerlo più incontrare.

Il genitore rifiutato avrebbe piuttosto necessità di qualcuno che lo aiutasse a mettersi in discussione e a riconoscere i propri errori e le proprie colpe, ma prevale spesso l’esigenza difensiva di trovare un consulente di parte che lo aiuti, su basi presuntamente “scientifiche” a negare la propria responsabilità e a proiettare la colpa sulla madre. Infatti bisogna pur sempre dimostrare che è stata lei che ha suggestionato il figlio.

In questa logica il bambino non ha affatto una propria autonomia psicologica, il suo rifiuto non sarebbe farina del suo sacco, è la madre che va pur sempre colpevolizzata e punita. Di fatto i nostri esperti proclamano: “La Pas è morta, viva la PAS!”








LETTERA APERTA ALLE MADRI VIOLENTATE DA INTERVENTI ISTITUZIONALI FONDATI SULLE TEORIE DELL’ALIENAZIONE GENITORIALE

13 agosto 2024


Ho ripreso a condurre di recente con lo psicodramma un gruppo di madri di vittime di abuso. Il lavoro è andato molto bene, ma alcune partecipanti mi hanno manifestato perplessità per una foto che è circolata in rete e che mi ritraeva sorridente a tavola insieme a Giovanni Camerini.

Non sono state le sole critiche che ho ricevuto per questo motivo. Altre madri ed alcune associazioni si sono fortemente lamentate con me, perché si sono sentite tradite.

Nel gruppo ho preso l’impegno di chiedere scusa a tutte le madri e a tutti coloro che hanno provato smarrimento e dolore immaginando che quella fotografia potesse significare un cedimento anche minimo sul fronte della difesa culturale e scientifica delle ragioni e dei diritti delle vittime.

L'incontro con il dott. Camerini aveva esclusivamente una finalità di confronto privato, dopo una vicenda legale fra di noi: non alludeva a nessun mio cambiamento o compromesso sul piano della difesa delle vittime di violenza in famiglia

Prenderò in considerazione la proposta che mi è stata fatta di un confronto pubblico con il dott. Camerini, ma so che quella foto è stata un grave errore di comunicazione.

Non è stato e non è semplice per me cercare di rilanciare la mia attività dopo 5 anni di tritacarne giudiziario e gogna mediatica. Mi assumo comunque la responsabilità della scelta sbagliata da me compiuta, che ha avuto effetti confusivi. Per questo chiedo scusa.

Ho combattuto come studioso, come clinico e come attivista tutta la vita contro la PAS (Sindrome di Alienazione Parentale), contro la bufala delle false accuse, contro l'enfasi dei falsi ricordi, contro la scienza spazzatura usata contro madri e bambini, contro l'adultocentrismo e la violenza degli allontanamenti forzosi di bambini dalle loro madri accusate di PAS.

Ho combattuto contro la pedofilia, ancora un tabù ai nostri giorni e la violenza in famiglia e continuerò a farlo con la stessa integrità, passione e chiarezza di sempre.



“ONORA IL PADRE E LA MADRE E ONORA ANCHE IL LORO BASTONE” (Fabrizio De André)


12 luglio ‘24


La violenza in famiglia non è esercitata sempre dagli uomini contro le donne, ma lo è quasi sempre. Nel caso di cui si occupa DIRE e che compare nel link, il maltrattamento sui figli è stato invece esercitato dalla madre, ma la logica adultocentrica è sempre la stessa: non ascoltare, non rispettare il punto di vista dei bambini.

L’adulto violento deve mantenere il proprio diritto alla bigenitorialità, cioè deve avere gli stessi diritti come genitore, anche se ha avuto comportamenti violenti, anche se viene rifiutato aspramente dai figli. “Onora il padre e la madre, onora anche il loro bastone”, cantava De André.

Certamente la bigenitorialità rappresenta in linea generale un indubbio valore psicologico e pedagogico per i bambini. La presenza di entrambi i genitori nella vita dei figli ed una relazione sufficientemente positiva tra padre e madre rappresentano una risorsa straordinaria dal punto di vista educativo e psico-evolutivo.

Ma se in famiglia compare la violenza, la bigenitorialità diventa anch’essa violenta. Diventa un mezzo per fare appello all’arcaico diritto del sangue: “Se ti ho messo al mondo, sei sangue del mio sangue, mi appartieni e ho comunque il diritto a incontrarti!” https://www.dire.it/.../1052778-figli-padre-assistente.../

In questo caso c'è un assistente sociale che sembrerebbe affermare che la bigenitorialità è un valore sacro anche in un contesto di violenza. Non pochi assistenti sociali sono spesso condizionati da una cultura psicologica e psicologico-forense dalla parte degli adulti.

La formazione degli assistenti sociali è fondamentale per aiutarli ad essere più coraggiosi e più sensibili alle ragioni dei bambini.

La bigenitorialità non può diventare un diritto aprioristico che può essere reclamato sempre e comunque dal genitore, senza tener conto delle comunicazioni dei bambini e dell'ipotesi della violenza.

Il padre o la madre – il cui comportamento è risultato maltrattante – devono essere fermati nei casi più gravi o aiutati nei casi meno gravi a mettersi in discussione e a conquistarsi sul campo la possibilità di frequentare i figli. https://www.dire.it/.../1052778-figli-padre-assistente.../




L’AUTOAMBULANZA PUO’ ATTENDERE

3 luglio 2024


Una forte corrente nella psicologia forense italiana ritiene che nei casi di presunta violenza sui minori il diritto alla salute dei bambini coinvolti debba in qualche modo essere sacrificato sull’altare delle garanzie processuali dell’adulto. «È opportuno – dichiara l’art. 3 della Carta di Noto (nel 2017) che l’attività di assistenza psicologica o psicoterapeutica del minore - salvo casi di particolare urgenza e gravità - avvenga dopo che questi ha reso testimonianza in sede di incidente probatorio».

Dunque i bambini in attesa dei tempi del procedimento giudiziario dovrebbero rinunciare ai loro bisogni di cura, arrangiarsi con il loro dolore e la loro confusione, dissociare i temi più penosi della loro esperienza e aspettare fiduciosi i tempi della giustizia degli adulti.

Addirittura secondo alcuni consulenti – è emerso nel processo sul caso Bibbiano – nessuna cura per un trauma sarebbe legittima senza che prima ci sua un accertamento giudiziario. Una ricerca presso il tribunale di Roma dimostra che tra la segnalazione all’Autorità Giudiziaria di una violenza sessuale intra-familiare e la pronuncia irrevocabile della sentenza passano in media 5 anni e 3 mesi.

Viene in mente una similitudine di Marinella Malacrea.

Sarebbe come se nel caso di un incidente stradale - con la persona investita sull’asfalto - si attendesse l’autoambulanza senza dare soccorso al ferito perché non sono ancora arrivati i vigili o i tecnici dell’assicurazione! Se proprio il bambino sta molto male e dunque non è possibile negargli qualsiasi risposta sanitaria, che gli si dia assistenza psicologica, purché non venga ascoltato ed aiutato su tutto ciò che riguarda il trauma subìto. Come dire: se un soggetto va al pronto soccorso perché si è fatto male alla testa che venga curato, se proprio non se ne può fare a meno, ma non per la sua ferita più grave.

Io ritengo che il garantismo per l’imputato possa e debba integrarsi con il garantismo per il bambino che entra nel circuito giudiziario. Il piccolo somma due fragilità: la fragilità derivante dallo status infantile e quella derivante dalla condizione di presunta vittima. Il minore sta comunque vivendo un malessere gravissimo, al di là delle specifiche cause.

C’è un bambino che viene coinvolto, come vittima e come testimone, nel sistema giudiziario. Deve fare i conti con un mondo che gli è estraneo: giudici, audizioni, periti. Ha una collezione di ansie da smaltire. Bisogna accompagnarlo o no?

Nella logica delle convenzioni e delle raccomandazioni internazionali tutto il percorso processuale penalistico va ripensato dal punto di vista del minore e del rispetto dei suoi diritti (art. 30 della Convenzione di Lanzarote), con la prospettiva di tentare di garantire al soggetto più vulnerabile almeno la stessa attenzione e la stessa tutela che viene data all’imputato adulto.



LA SQUALIFICA DEL BAMBINO COME TESTIMONE

23 giugno ‘24


Più di vent’anni fa, nel 2001, invitai un noto esperto al convegno che organizzammo come Centro Studi Hansel e Gretel a Torino e che intitolammo “Ascolto dell’abuso e abuso nell’ascolto”. Ho dato atto a questo esperto di aver svolto una funzione di importante sollecitazione nei confronti degli operatori e dei professionisti a prestare attenzione ai rischi della suggestione positiva nelle interviste di minori coinvolti in procedimenti giudiziari.

Non a caso avevamo scelto di invitarlo al nostro convegno.

Ma il lavoro di quest’autore rischia di arrivare a conclusioni discutibili: per lui i bambini sono comunque testimoni poco credibili e le violenze che raccontano quasi sempre non sono esistite. Ciò che non si può condividere nel suo pensiero è il bisogno di svalutare in modo generalizzato le possibili vittime: «Per un bambino - disse nella sua relazione al nostro convegno - il fastidio dato da una supposta piuttosto che da un dito nel sedere è difficile da decodificare nell’un caso come fatto di tipo terapeutico, nell’altro di altro significato».

Dunque i bambini non avrebbero neppure la minima consapevolezza di sé e del proprio corpo. Molte ricerche dimostrano invece che un racconto di un bambino concernente un episodio da lui patito di violenza fisica intrusiva, ha un’altissima probabilità di non risultare un falso ricordo. Secondo un punto di vista adultocentrico di fronte ad un atto penetrativo così rilevante, qualsiasi bambino, di qualsiasi età, qualsiasi piccolo testimone di qualsiasi processo, entrerebbe in confusione ed è scarsamente attendibile.

Sostenere che un bambino non sappia differenziare i due atti e le diverse finalità di tali atti rappresenta una pesantissima squalifica delle capacità percettive, intellettive e comunicative dei bambini. Si tratta di un’affermazione che potrebbe essere eventualmente fondata per un bambino molto piccolo, ma è assurda e strumentale se riferita alla popolazione infantile. La squalifica della competenze testimoniali del bambino diventa così generalizzata, tende a mettere in dubbio o a demolire a priori le qualità del piccolo testimone così pericolose per un adulto accusato di un reato sessuale su un minore.



MAI FIDARSI DEI BAMBINI!

20 giugno ‘24


Da decenni una scuola di pensiero psicologico-forense molto influente in Italia afferma che non c’è mai da fidarsi della memoria infantile: la codifica, la conservazione, il recupero del ricordo di una violenza subita da parte di un bambino sarebbero fasi esposte pesantemente al rischio di interferenze da parte dell’adulto, indipendentemente dalla età, dal funzionamento psicologico e cognitivo di quel bambino, indipendentemente dalla qualità e dalla coerenza emotiva e narrativa del suo racconto o dal carattere. Il recupero della memoria autobiografica non sarebbe possibile prima dei 3/4 anni. La capacità di distinguere tra fabulazione e realtà non sarebbe raggiungibile prima dei 7/8 anni; la capacità di comprensione dei fatti non sarebbe realizzabile pienamente prima dei 12 anni, etc. Sull’apporto del bambino testimone si potrebbe dunque metterci quasi una pietra sopra. Ma dopo i 12 anni men che mai ci si potrebbe fidare di un soggetto in età evolutiva. Infatti, crescendo perderebbe l’ingenuità infantile e la credibilità associata a quell’ingenuità.

Diventando adolescente acquisterebbe quella malizia con la quale si può costruire una falsa accusa.

Una domanda a questo punto si pone: in che età la testimonianza del bambino può essere presa in seria considerazione e sottoposta alla necessaria falsificazione? I bambini piccoli infatti sarebbero troppo inaffidabili, gli adolescenti troppo furbi.

Alcune affermazioni della Carta di Noto IV sembrano rispondere alla finalità adultocentrica di far fuori il più possibile le capacità testimoniali dei bambini:

«I bambini sono sempre da considerarsi testimoni fragili perché educati a non contraddire gli adulti e non sempre consapevoli delle conseguenze delle loro dichiarazioni e, pertanto, propensi a confermare una domanda a contenuto implicito. Richiesti da un adulto, i bambini possono mostrarsi compiacenti (cioè tendono a conformarsi a ciò che presuppongono sia desiderato dall’interrogante) e persino suggestionabili (cioè si convincono intimamente che le cose sono andate in un certo modo, così come più o meno esplicitamente suggerito dall’interrogante)».

Si tratta di una posizione ideologica per cui il bambino non è mai un valido testimone. Una posizione simmetrica a quella che pretende di contrastare: quella per cui i bambini sono sempre e comunque la bocca della verità.

In altri termini i bambini vanno ascoltati con attenzione e rispetto, senza pregiudizio di alcun tipo, negativo o positivo che sia, sui contenuti che hanno da esprimere. Ogni bambino richiede un’analisi specifica del caso specifico.



LA CASSAZIONE DA RAGIONE A LAURA MASSARO

26 marzo 2023


Un altro durissimo colpo agli interventi e alle teorie sull’alienazione parentale che vengono portati avanti, risultando spesso vincenti, da molti consulenti tecnici, psicologi, assistenti sociali e giudici da circa due decenni del nostro paese!

La Cassazione con la recente ordinanza del 24 marzo ha accolto l’istanza di una madre, Laura Massaro, che era decaduta dalla responsabilità genitoriale e a cui è stato sottratto il figlio, in quanto accusata della cosiddetta PAS (Parental Alienation Syndrome).

La pronuncia della Cassazione afferma che “il richiamo alla sindrome d’alienazione parentale e ad ogni suo, più o meno evidente, anche inconsapevole, corollario, non può dirsi legittimo, costituendo il fondamento pseudoscientifico di provvedimenti gravemente incisivi sulla vita dei minori, in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre”. Per questa sentenza il ricorso alla PAS o a consulenze tecniche per dimostrarla non può sostituire il principio fondamentale di un ascolto approfondito e non pregiudizievole del bambino.

Dunque la bigenitorialità non può essere il pretesto in base a cui un padre può esigere un proprio diritto a discapito della capacità di rispettare il figlio. La bigenitorialità rimane in linea generale una dimensione fondamentale per la crescita dei figli. Ma la bigenitorialità è innanzitutto un diritto del bambino che non può imporsi su di lui come un obbligo violento.

Con la giustificazione ideologica dell’alienazione parentale in questi anni , migliaia di bambini che hanno espresso vissuti di paura, allarme e protesta nei confronti del loro padre sono stati calpestati nella loro richiesta di ascolto e addirittura sottratti alle loro madri, colpevoli di avere preso sul serio le parole e i sentimenti dei loro figli e di essersi schierate a loro difesa.

L’alienazione parentale non è mai stata validata scientificamente, ma nei tribunali italiani continua l’utilizzo della PAS e di teorie analoghe come se nulla fosse. L’OMS ha chiaramente rifiutato il riconoscimento di questa diagnosi. Nel 2011 nel 2017 la Commissione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) ha condannato l’Italia per aver utilizzato la Parental Alienation nei tribunali, denunciandone gli effetti gravemente nocivi sul benessere e la tutela dei bambini e delle donne.

Non si pensi dunque che la partita sia chiusa perché la cultura patriarcale e soprattutto la cultura della negazione del diritto all’ascolto dei bambini sono depositati nella coscienza e nell’inconscio della comunità sociale. Si sa: le donne sono a priori isteriche, malevole ed alienanti, indipendentemente dall’analisi concreta del caso concreto e i bambini sono strutturalmente bugiardi, manipolabili e facilmente suggestionabili da parte di chi li ascolta indipendentemente dalla valutazione caso per caso delle loro caratteristiche e delle loro comunicazioni.

La cultura patriarcale è radicata da millenni nella cultura sociale. Le origini della cultura adultocentrica d’altra parte sono ancora più arcaiche e le loro origini si perdono nella notte dei tempi. Non c’è da illudersi. Ci sarà ancora molto da fare.



IL PATRIARCATO E’ VIVO E STA DENTRO DI NOI

Una sintesi del mio articolo in “Su la testa”, marzo 2024

8 marzo 2024


Nella discussione che ha seguito la mobilitazione contro il femminicidio di Giulia Cecchettin molti intellettuali anche di orientamento progressista hanno storto il naso di fronte all’ipotesi che la cultura patriarcale possa contribuire alla genesi di questa forma estrema di violenza sulle donne.

E’ ovvio che la nostra società funziona in modo assai diverso dalla società patriarcale dei millenni passati e che la famiglia patriarcale di un tempo non esiste più, ma è altrettanto ovvio che siamo chiamati a fare i conti con le tracce pesantissime della cultura patriarcale.

Il linguaggio che moltiplica i termini con si allude ad atteggiamenti femminili sessualmente liberi evoca la pericolosità e l’immoralità del comportamento femminile ed esprime due cose: a) la preoccupazione patriarcale per la libertà che la donna può esercitare con il proprio corpo e con la propria sessualità; B) nel contempo il desiderio maschile di un rapporto oggettivante, mercificato ed eccitante con quel corpo e con quella sessualità;

Viene evidenziato il rapporto tra il potere e la violenza, riportando alcuni dati statistici che stracciano i veli della negazione della sopraffazione sulle donne, sotto forma di violenza domestica in famiglia e di molestie e ricatti sessuali sul lavoro.

Vengono esaminate le tracce della cultura patriarcale sui comportamenti educativi e relazionali verso i bambini e le pesanti conseguenze del maltrattamento all’infanzia e della violenza assistita sui bambini e sulla loro evoluzione.

La cultura patriarcale è ancora capace di condizionare giudici, psicologi ed operatori dell’area della tutela e della cura dei minori, portandoli fra l’altro

1. a non riconoscere che i padri violenti verso le compagne sono spesso in qualche modo violenti anche verso i figli;

2. a fraintendere la realtà delle dinamiche familiari interpretandole come conflittualità di coppia anche quando si tratta di situazioni di violenza domestica e di violenza assistita;

3. a esaltare la bigenitorialità come valore assoluto, trasformandola da risorsa potenziale a diritto che può essere esigito da parte dei padri indipendentemente dall’ascolto dei figli e dalla possibile presenza di un maltrattamento in famiglia;

4. costruire schemi diagnostici ed interpretativi per accusare le madri di manipolare e di alienare i figli nei contenziosi giudiziari per l’affidamento dei figli e per impedire che questi ultimi vengano ascoltati in modo approfondito sui loro vissuti.

Per riconoscere le tracce della cultura patriarcale occorre essere disponibili a scendere dal cielo dell’ideologia, dalla retorica sull’emancipazione della donna e sul rispetto dell’infanzia, ad un’analisi più sofferta e drammatica delle relazioni conflittuali tra i sessi e le generazioni. E’ certamente più comodo affermare, come è stato fatto da molti recentemente, che con il femminicidio il patriarcato non c’entra nulla.

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