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Claudio Foti

La mente abbraccia il cuore

La forza trasformatrice delle emozioni nelle relazioni, nel lavoro terapeutico, educativo, formativo, didattico, nell’aiuto ai sopravvissuti e agli autori di reato. Il principio è lo stesso: intelligenza emotiva. Pensare e dire le emozioni, non farsene sequestrare. Il rispetto di tutte le emozioni e delle emozioni di tutti.

Psicoterapia

I pazienti possono ritornare mesi o anni dopo al momento di crisi e di angoscia che li ha motivati alla scelta della psicoterapia con un atteggiamento di comprensione e di tenerezza verso la propria fragilità di un tempo, con la consapevolezza che si trattò di un momento penoso di fragilità, alla fin fine necessario per avviare un percorso vitale di cambiamento.

  • La domanda di psicoterapia può nascere dalle più svariate ragioni: un blocco nella vita quotidiana o nell’attività professionale, una crisi affettiva, sessuale, relazionale, un malessere nel corpo che non si spiega solo sul piano fisico, un’insistente ansia o una forte depressione, una difficoltà psicologica dilagante possono sollecitare o obbligare a chiedere aiuto.

     

    Il disagio può aumentare per il fatto di essere chiamati a riconoscere che non si è grado di farcela da soli, che bisogna rinunciare ad un’immagine di sé assolutamente forte ed inattaccabile, priva di aspetti rilevanti di fragilità o debolezza.

     

    Il percorso di psicoterapia cerca di costruire un campo relazionale tra il terapeuta e la persona che chiede aiuto per far crescere un rapporto di fiducia e di rispetto da entrambi i lati, una comunicazione autentica su tutti gli aspetti d’interesse del paziente, compresi quelli riguardanti il rapporto in evoluzione con la psicoterapia e con lo psicoterapeuta, i passi in avanti che si sono compiuti e i momenti di crisi e di incomprensione che possono manifestarsi all’interno del percorso di cura.

     

    La consapevolezza (un termine che deriva dal latino cum sapio) è un sapere che si costruisce insieme, è un processo che richiede un percorso condiviso tra lo psicoterapeuta e il paziente.

     

    Le competenze tecniche e culturali dello psicoterapeuta sono importantissime, ma decisive sono la sua capacità di vicinanza emotiva e la “partecipazione affettiva” alla sofferenza del paziente (Sandor Ferenczi). Più ancora della sapienza interpretativa e della tecnica ciò che contribuisce al cambiamento sono l’impegno empatico del curante e la sua fiducia nelle risorse di guarigione del paziente.

  • Il trauma è un evento o un insieme di eventi estremi, inaspettati, lesivi che sconvolgono il presente e minacciano il futuro del sopravvissuto. I sintomi post-traumatici sono ripetitivi, perché il cervello umano registra e conserva le emozioni di paura, di rabbia, di tristezza vissute nel corso degli eventi traumatici e anche le rappresentazioni di sé che si sono prodotte in quegli eventi.

     

    Ogni vicenda traumatica è un dramma particolarmente terribile e terribilmente particolare, che merita un ascolto approfondito. Compare sempre l’irriducibile bisogno dei sopravvissuti di ritornare sul passato con i sintomi e con la parola per comunicare l’angoscia, la confusione, l’immagine negativa, inadeguata, colpevole, di sé, rimaste dentro.

     

    Il sopravvissuto ad un trauma ha un inarrestabile bisogno di parlare della propria esperienza e nel contempo ne ha grande paura. Desidera essere supportato nelle difficoltà del presente, vuole essere rispettato nei tempi e nei modi attraverso cui recuperare ed elaborare i ricordi del passato, chiede di essere accompagnato con grande vicinanza emotiva ed empatia.

     

    Il trauma di mano umana è stato vissuto come tradimento di un rapporto di fiducia, come rottura di relazioni interpersonali che hanno perso la loro funzione positiva o protettiva. Solo all’interno di una relazione terapeutica sicura e benevola il trauma può essere riattraversato e rielaborato. Le persone che hanno vissuto o che hanno assistito ad un trauma sono alla ricerca di un interlocutore capace di ascolto e attenzione in grado di accettare il disorientamento e il dolore, che sottende il loro vissuto.

     

    Nella mia impostazione clinica sul tronco della psicoterapia ad orientamento analitico può innestarsi il ricorso a diverse tecniche di cura, quali la meditazione, l’EMDR, la drammatizzazione, l’intelligenza emotiva, tecniche che possono essere integrate ed utilizzate sia per la stabilizzazione e il miglioramento delle condizioni attuali di vita del paziente, sia per l’elaborazione dei ricordi traumatici.

     

    E’ indispensabile un atteggiamento clinico dello psicoterapeuta di “partecipazione affettiva”, perché il sopravvissuto necessita di una persona accogliente per costruire insieme una prospettiva di cura e di speranza. La psicoterapia comporta il prendere per mano il paziente per un viaggio all’inferno del trauma con un biglietto di andata e ritorno. Così anche le ferite più profonde - rimosse o dissociate, ma continuamente riemergenti - possono essere in qualche modo accettate e risanate. Se nel terapeuta c’è competenza e nel contempo capacità affettiva di condivisione diventa realistica l’affermazione: “Curare il trauma è possibile!”

  • L’interazione dialogica rispettosa, la comunicazione autentica dei vissuti, l’accoglienza e il rispetto dei sentimenti possono consentite un intervento efficace di psicoterapia anche nella cornice più limitata della comunicazione on line.

     

    Sicuramente l’incontro in presenza e l’ampia interazione che ne può conseguire risulta il contesto ottimale per un lavoro di cura, ma l’esperienza dimostra che è anche possibile ottenere risultati terapeutici significativi nel paziente, trattato attraverso il collegamento web.

     

    Uno scambio significativo d’informazioni e di comunicazioni emotive può prodursi anche guardandosi negli occhi tramite il telefonino . Anche se non ci si vede da vicino, un incontro coinvolgente e trasformativo può avvenire. La scintilla del cambiamento può scattare lo stesso, pur senza incontrarsi di persona.

    Con qualche difficoltà aggiuntiva è possibile perfino utilizzare nel contesto della psicoterapia on line tecniche terapeutiche quali il monodramma.

     

    Un’ultima considerazione: nella mia esperienza quando si riesce ad incontrarsi finalmente in presenza e a conoscersi di persona dopo una serie di sedute tramite web si può registrare un momento emotivamente significativo che può sollecitare nel paziente e nel terapeuta comunicazioni e riflessioni molto utili per il lavoro di analisi.

  • Giocare per mettersi in gioco,

    drammatizzare per sdrammatizzare,

    mettersi in gioco per non giocarsi la vita,

    mettere in scena per non far scena,

    rappresentare per non farsi rappresentare,

    recitare per esprimersi e non recitare per fingere

    rivivere per non ripetere,

    ricostruire il passato per passare a costruire,

    movimentare la recita per non recitare le emozioni,

    sentire il corpo per dar corpo ai sentimenti,

    vivere la soggettività per non assoggettare la mente,

    scambiarsi le parti per integrare le proprie parti,

    comunicare i gesti per gestire il cambiamento,

    vivere i copioni per non copiare la vita.

     

     

    La mia attività di psicodrammatista si è svolta per anni in gruppi di psicoterapia, in gruppi di formazione e ad anche in gruppi larghi e molto larghi di discussione e di elaborazione culturale, quali seminari e convegni.

    La base teorica della mia conduzione del gruppo di psicodramma è data dalla Psicologia del Sé, dal modello relazionale in psicoanalisi e dalla psicoterapia centrata sul trauma. La base metodologica è data dall’elaborazione condivisa nel gruppo attraverso i principi e i metodi dell’intelligenza emotiva, dal gioco psicologico e dallo psicodramma classico moreniano. La finalità è quella di sviluppare e di utilizzare le capacità di accoglienza, di contenimento e di solidarietà del gruppo per favorire processi di valorizzazione e di espressione del Sé di ciascun individuo.

    Il conduttore investe molte energie per far crescere nel gruppo le qualità di accoglienza e di non giudizio delle problematiche di ciascun partecipante, la comprensione empatica delle difficoltà dei singoli, l’accettazione benevola della storia particolare di ciascun componente del gruppo. In questo senso il gruppo non è solo un contesto, non è solo una cornice: è un valore aggiunto per la cura, è un fattore terapeutico fondamentale che si aggiunge al ruolo di guida e alla responsabilità clinica dello psicoterapeuta che conduce lo psicodramma.

    La finalità del gruppo è quella di sviluppare le capacità dei partecipanti di procedere nel rafforzamento della coesione del Sé e delle integrazioni delle diverse parti: parti infantili ed adulte, emotive e razionali , di attenzione a se stessi e all’altro. L’obiettivo dunque non è la catarsi ma l’integrazione delle diverse componenti e delle diverse espressioni emotive di sé.

    "Non è il trauma in sé a fare ammalare, bensì la disperazione inconscia, rimossa e desolata dovuta al fatto che non sia consentito dare espressione alle sofferenze patite. Questo porta molti individui (a sentire che) la vita non appare loro più degna di essere vissuta, dal momento che non sono più in grado di provare alcuno di quegli intensi sentimenti che costituiscono il vero Sé"

    A. Miller, “La persecuzione del bambino”

  • La coppia come relazione stabile rimane fondamentale nella comunità umana.

    Nasciamo e ci individuiamo come soggetti all’interno della relazione madre-figlio o madre-figlia ovvero dentro una coppia. E nella coppia, nel corso della nostra esistenza adulta, possiamo tentare di realizzarci, cercando vicinanza emotiva ed intimità affettiva.

    Con grande fatica e con tante tensioni. Con tanti conflitti e problemi. Ma certo non rinunciamo facilmente alla posta in gioco di una coppia che ci valorizzi e ci sostenga.

     

    Quando non diventa un luogo di soffocamento o, addirittura, di violenza, quando non si inaridisce in una somma di solitudini e di chiusure, in una circolazione di ricatti, di piccole e grandi sopraffazioni, la coppia può risultare un ambito fecondo e generativo, di sentimenti, di pensieri, di progetti, di figli, ma non solo e non necessariamente di figli.

    La psicoterapia di coppia ha senso quando nessuno dei due componenti di una coppia in crisi pensa di essere saldamente ben seduto nella schiera dei giusti e quando nessuno dei due è assolutamente convinto che il partner appartenga alla schiera degli sbagliati.

     

    La coppia rappresenta molte volte un prezioso valore accumulato di ricordi, di emozioni, di impegni, di scambi riusciti che finiscono tuttavia per intrecciarsi con gravi squalifiche, atteggiamenti autocentrati, mancanze di rispetto, interazioni aggressive.

    Si tratta di valutare se ci si trova di fronte ad una spirale irreversibile di negatività che è bene interrompere, preparando una buona separazione, o piuttosto se può essere riconosciuta e fermata una circolarità di comportamenti di ostilità e di incomprensione a favore del rilancio di un equilibrio di coppia sano, sufficientemente amorevole e fondato su uno scambio vantaggioso per entrambi.

     

    In molte situazioni può valer la pena tentare di considerare e di salvaguardare ciò che di positivo si è accumulato nella coppia, cercando di individuare e di fermare le dinamiche conflittuali che si sono sviluppate per poter imparare a stare meglio insieme.

     

    La psicoterapia di coppia non ha senso invece se è in atto una violenza: in questo caso secondo l’esperienza clinica e sociale, oltre che secondo le indicazioni della Convenzione di Istambul, è assai pericoloso cercare di sviluppare un lavoro di mediazione o peggio di riconciliazione fra i partner, senza prima aver riconosciuto e contrastato la violenza. In questi caso un lavoro psicologico sulla coppia finirebbe per oscurare la responsabilità del partner violento, mettendo sullo stesso piano la figura dell’aggredito e quella dell’aggressore.

  • Le tecniche meditative rappresentano uno strumento di cura e di guarigione potentissimo nella misura in cui sono comprese nella loro finalità e vengono portate avanti con continuità, con correttezza e con benevolenza verso se stessi.

     

    Le pratiche della meditazione, fra cui la cosiddetta mindfulness, aiutano la persona a maturare un’autocentratura sana attraverso il contatto della mente consapevole con l’esperienza soggettiva che si vive nel momento presente. Occorre allenarsi in altri termini a portare e a riportare con pazienza l’attenzione alle sensazioni corporee del qui ed ora, alle percezioni sensoriali, alle emozioni e ai pensieri, sviluppando così la capacità di calmarsi e favorendo processi di integrazione e di attivazione di energie.

     

    L’abbinamento tra psicoterapia centrata sul trauma e attività meditativa potenzia le risorse mentali con cui il soggetto può affrontare il difficile cammino di recupero ed elaborazione dei ricordi traumatici.

     

    La barra del timone del lavoro psicoterapeutico è orientata sul riattraversamento del passato, ma questa meta presuppone la possibilità di migliorare la navigazione nella vita attuale del paziente. Le tecniche meditative possono essere di grande aiuto per questo miglioramento.

     

    La mindfulness è stata definita da Jon Kabat-zinn - che l’ha introdotta nel panorama medico e culturale dell’Occidente - “una continua presa di coscienza, un’attenzione scevra da giudizio, coltivata in modo specifico, in modo da dimorare nel momento presente con la minore reattività possibile, e con il cuore il più aperto possibile”.

     

    E’ una definizione molto utile perché sottolinea fra l’altro l’importanza dell’atteggiamento mentale di accettazione e di compassione verso se stessi (“il cuore aperto”) con cui è fondamentale esercitare la pratica meditativa.

     

    Altro concetto importante nella definizione di Kabat-zinn: “La minore reattività possibile”. Reagire con forte cariche di ansia e di depressione anche a piccole frustrazioni, valutate come gravi insuccessi, oppure interpretare precipitosamente un atteggiamento neutrale o indifferente di un’altra persona nei nostri confronti come segno di ostilità, facendoci trasportare da piccoli segnali, possono essere esempi di reattività.

    Anche darsi immediatamente dello stupido o dell’incapace di fronte ad una difficoltà prima ancora di esaminare e comprendere questa stessa difficoltà - seguendo magari un antico schema ripetitivo di autosvalutazione – è un altro esempio di reattività.

     

    Nella mia esperienza di formatore quando propongo l’addestramento a queste tecniche tendo ad evidenziare la differenza tra le varie ed importanti consegne della meditazione (le indicazioni sulla postura, sulla concentrazione su un oggetto, sul radicamento nel momento presente e nel respiro, sulla costanza degli esercizi, ecc...) e quella che definisco una meta-consegna di valore sovraordinato che non va mai dimenticata nell’approccio alla tecnica: mi riferisco all’invito a mantenere nella pratica un atteggiamento mentale di

    accettazione verso ciò che c’è, verso noi stessi e verso ciò che si riesce a fare, tenendo a bada qualsiasi perfezionismo o efficientismo di tipo meditativo.

     

    Le consegne sono importanti ed occorre fare del nostro meglio per applicarle, ma possiamo far crescere gradualmente il rigore dei meditanti senza assolutizzare un ideale tecnico perfezionistico, sottolineando costantemente il principio dell’apertura amorevole a ciò che esiste. Così eviteremo di alimentare paradossalmente con l’insistenza esclusiva sulla tecnica un vissuto di inadeguatezza in chi si avvicina alla pratica meditativa

  • SUPERVISIONE DI GRUPPO CON EQUIPE PSICOCIALI SUI CASI MALTRATTAMENTO O DI EQUIPE SOCIO SANITARIE A CONTATTO CON LA SOFFERENZA DI MINORI

    - SUPERVISIONE INDIVIDUALE DI ATTIVITA’ DI PSICOTERAPIA

     

     

    La mia attività di supervisione mira a potenziare innanzitutto il gruppo come risorsa, favorendo un clima di confronto nei partecipanti al gruppo tra punti di vista professionali ed emotivi diversi fra loro, fra atteggiamenti non coincidenti di identificazione e di controidentificazione verso i soggetti coinvolti nel caso in discussione.

     

    E’ fondamentale riuscire a costruire un clima di comprensione reciproca dei vissuti e delle difficoltà degli operatori e un atteggiamento di accettazione degli insuccessi e delle impasse, che si registrano negli interventi. Insuccessi ed impasse che occorre imparare a vivere non già come fallimento o come colpa, ma come elementi da riconoscere e rielaborare. Il percorso del gruppo può così migliorare la consapevolezza della complessità dei casi su cui si interviene e del ruolo della soggettività degli operatori nel processo di intervento. In questa prospettiva si può imparare a fare del proprio meglio per trasformare le difficoltà in crescita e per utilizzare gli errori come strumenti di conoscenza della complessa e sfaccetta realtà psichica e relazionale sulla quale si è chiamati ad intervenire.

     

    M’impegno inoltre a lavorare sui problemi di comunicazione e di raccordo all’interno della rete degli operatori che si occupano di vicende di maltrattamento e di abuso: spesso questa rete è piena di buchi e di mancanze per la difficoltà a mantenere una forte identificazione con le sofferenze e con le esigenze dei bambini, cioè dei soggetti più fragili con cui si entra in contatto. I problemi della rete tendono ad aumentare per la mancanza di discussione, riflessione e di supervisione condivisa dell’intervento. La conseguenza è che finiscono purtroppo per emergere atteggiamenti e comportamenti orientati all’autotutela istituzionale ed emotiva degli operatori a scapito della tutela del bambino, soprattutto se traumatizzato.

     

    Nel lavoro di supervisione delle psicoterapie occorre insegnare l’efficacia dell’ascolto come apertura, accettazione ed accoglienza di fatti, situazioni, sentimenti, comunicazioni che appartengono alla dimensione dello spiacevole e dello scombussolante, dell’imprevisto e dell’imprevedibile, dell’impensato e dell’impensabile, del non detto e del non facilmente dicibile. Emerge quanto risulti fondamentale nel confronto con la sofferenza dei bambini e degli adulti l’impegno all’ascolto come disponibilità a riconoscere e condividere la sofferenza altrui restando se stessi, la ricerca dell’empatia come viaggio esplorativo nella mente dell’altro.

     

    Nell’attività di supervisione dei casi occorre aiutare il professionista a scendere da un illusorio piedistallo nel quale le difficoltà emotive, le frustrazioni e i conflitti potrebbero essere banditi per imparare piuttosto ad accettare pienamente, nell’ottica di una crescita umana e professionale, i vissuti di impotenza, di ansia e di dubbio, i limiti soggettivi e le frustrazioni, al di fuori di un clima giudicante di giudizio o peggio, di condanna.

     

    Occorre rafforzare nello psicologo e nel professionista la capacità di ascolto del trauma e la comprensione delle sue conseguenze. L’operatore può migliorare la consapevolezza delle proprie risorse nell’ascolto di sé, la flessibilità nei confronti degli eventi negativi, la fiducia nella mente e nella comunità umana, la sensibilità emotiva e la compassione nei confronti della sofferenza in generale ed in particolare nei confronti di quella specifica forma di sofferenza - particolarmente angosciante e destrutturante - che è la sofferenza associata al trauma.

     

     

    Può essere necessario talvolta affrontare casistiche che risultano destrutturanti, per gli stessi operatori coinvolti: situazioni per esempio in cui il professionista si sente solo o privo di strumenti o, peggio, bersaglio di ostilità da parte degli utenti o da parte di altri operatori. L’assistente sociale o lo psicologo inoltre possono sentirsi nella supervisione fortemente inadeguati o addirittura colpevoli per non aver visto certi segnali di maltrattamento che con il senno di poi appaiono chiari, per non aver saputo proteggere minori o soggetti deboli da situazioni di violenza o per altri errori professionali. Diventa fondamentale formare gli operatori a non scivolare in atteggiamenti di giudizio ipercritico o depressivo verso se stessi per imparare a migliorare la propria competenza e il proprio senso di responsabilità

Lettere dal trauma

Curare il trauma è possibile! Scrivete le vostre storie, le vostre esperienze traumatiche, le vostre richieste di aiuto e di chiarimento. Farò il possibile per rispondervi.

Il trauma infantile davanti a voi. Chiedete aiuto. Il tempo non è rimedio di tutti i mali.

Il trauma infantile dietro di voi, nel vostro passato. Ci illudiamo restando prigionieri del silenzio di evitare il ricordo penoso e di cancellarne così gli effetti profondi. Ma senza parola, senza condivisione, senza elaborazione, non resettiamo il trauma infantile, ma rischiamo di restarne per sempre condizionati.

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Formazione e intelligenza emotiva

INTELLIGENZA EMOTIVA PER FORMARE

INTELLIGENZA EMOTIVA PER INSEGNARE

INTELLIGENZA EMOTIVA PER IMPARARE

  • A seguito di ogni attivazione o fase di lavoro, a seguito di un passaggio particolarmente intenso e coinvolgente, può essere molto utile sollecitare i partecipanti a esplicitare le loro emozioni,

    con la tecnica del “giro” dei vissuti emotivi: in base alla consegna nessuno è obbligato ma tutti sono invitati a turno a nominare e a chiarire sinteticamente il proprio vissuto emotivo. In questa prospettiva il gruppo, pur approfondendo situazioni, problematiche, casistiche portate da singoli membri del gruppo, può procedere coralmente sul cammino arricchente, anche se accidentato,

    dell’intelligenza emotiva, della comunicazione e dell’integrazione delle emozioni e dei sentimenti.

     

    Tanto più nel gruppo si è sviluppato un atteggiamento non giudicante, di accettazione reciproca e di cooperazione, tanto più i vissuti emotivi che tenderanno ad essere espressi dai partecipanti nel gruppo avranno la qualità dell’autenticità e dell’intensità.

     

    La circolarità degli interventi nel gruppo sui vissuti risulta in sintonia con la disposizione circolare nello spazio delle sedie dei partecipanti ed accompagna lo sforzo di un procedere comune nella condivisione emotiva ed affettiva.  

     

    La tecnica è stata ampiamente utilizzata ed arricchita in circa 30 anni di attività formative, culturali e cliniche dal Centro Studi Hänsel e Gretel. Il compito del conduttore è quello di favorire la capacità di contatto e di espressione delle emozioni di ciascuno, piacevoli o spiacevoli che siano e contrastando ogni logica di giudizio all’interno del gruppo e favorendo al contrario una logica di accettazione e ascolto.

  • L'originalità della nostra proposta formativa, che comincia ad essere apprezzata da diverse strutture ed istituzioni in diverse regioni italiane, si fonda su un'attenzione specifica e approfondita al metodo della formazione oltre che ai contenuti.

    "Il mezzo è il messaggio", diceva Mac Luhan. Il modo con cui parliamo ai bambini è altrettanto, se non più importante, del contenuto delle nostre parole. I genitori non trasmettono ai figli ciò che pensano o ciò che dicono, ma ciò che fanno e ciò che sono. Per es. un genitore che ha un'ideologia democratica e progressista in materia di rapporti tra i sessi che poi, nei fatti, svaluta il proprio partner e disprezza l'altro sesso, non trasmette ai figli il proprio pensiero ideologico, ma il proprio "metodo" di vita, il proprio modello di comportamento svalutante e disprezzante. A scuola gli insegnanti prima ancora dei contenuti culturali trasmettono il loro modo di essere e di rapportarsi al sapere. E' ben noto che l'interesse o il rifiuto degli allievi per una materia scolastica può essere ampiamente condizionato dall'interesse o dal rifiuto nei confronti della persona dell'insegnante e del suo metodo.

    Un metodo che passivizza gli interlocutori, che utilizza esclusivamente la modalità della lezione, che si rivolge esclusivamente alla "testa" dei partecipanti, non ponendosi il problema di coinvolgere il loro "cuore", è un metodo contraddittorio rispetto alla finalità di aumentare la sensibilità e l'attivazione sia cognitiva, che emotiva degli operatori sui temi del disagio, del maltrattamento o dell'abuso.

    Facciamo alcuni esempi. Un metodo formativo, intellettualistico e cattedratico, veicola messaggi deformanti e antagonisti ai contenuti che si vogliono trasmettere in materia di relazione educativa o di prevenzione della sofferenza dei minori. Al contrario un metodo formativo che stimola per es. psicologi od operatori sociali a sperimentare le difficoltà emotive e relazionali che inevitabilmente s'incontrano, affrontando casi di disagio minorile o di maltrattamento all'infanzia, consente un utile orientamento, anche teorico, sui problemi operativi ed emotivi che si devono affrontare nella prassi quotidiana.

    Un formatore che imposta un corso sull'ascolto senza stimolare l'attivazione dei suoi allievi e senza dimostrare una capacità di interazione e di ascolto, finisce per dare un messaggio paradossale: "Vi spiego come si ascolta e vi faccio vedere come non si ascolta". Al contrario un corso di formazione, capace di alternare momenti di gioco e momenti di elaborazione emotiva e riflessiva - permette ai partecipanti di sperimentare in modo vivo e concreto problemi di comunicazione e di ascolto e consente al formatore di trasmettere in modo più efficace schemi e concetti teorici.

    Un corso di educazione sessuale per bambini o ragazzi impostato esclusivamente sulla lezione a contenuto igienico-sanitario, trasmette un forte messaggio a partire dal metodo stesso: al di là dei contenuti più o meno adeguati, dice ai bambini o agli adolescenti che i problemi legati alla sessualità sono costituiti essenzialmente da una carenza di informazioni, dice che i problemi affettivi ed emotivi connessi alla sessualità non possono essere fatti oggetto di parola e di riflessione, dice che sulla sessualità esistono i competenti (per es. l'adulto che sta "insegnando") e i non competenti (per es. gli allievi che stanno ascoltando). Al contrario un corso di educazione sessuale con le tecniche interattive elaborate dal Centro Studi Hansel e Gretel, comunica, già a partire dal metodo scelto, che ciò che fa problema nella sessualità sono in primo luogo gli aspetti affettivi e relazionali, che il sapere e l'ignoranza sono componenti dell'esperienza di ciascuno, che la sessualità è normalmente costituita da aspetti piacevoli e da aspetti problematici e conflittuali, che è possibile e nel contempo liberante imparare a condividere e comunicare - in un clima di rispetto reciproco - ansie, dubbi, paure, difficoltà, desideri concernenti la sessualità e l'affettività.

     

     

    Un metodo per comunicare e far crescere

     

    La metodologia formativa, elaborata, sottoposta a verifica e sempre oggetto di riflessione interna da oltre dieci anni, nella prassi del Centro Studi Hansel e Gretel, rinvia ad alcune parole chiave: soggettività, intelligenza emotiva, piccolo gruppo, comprensione, responsabilità, gioco, esperienza.

     

    Soggettività

    La più grande risorsa per prevenire la sofferenza dei bambini e le varie forme di violenza ai danni dell'infanzia sta nel far crescere la soggettività e la responsabilità degli adulti che vivono accanto ai minori. La soggettività è la capacità di un soggetto adulto, impegnato in un ruolo familiare o sociale a contatto con bambini o adolescenti, di ascoltare, definire ed esprimere i propri bisogni, compreso il proprio bisogno di essere sostenuto ed aiutato ad affrontare le proprie impegnative responsabilità a contatto con figli, allievi o minori in carico professionale. La soggettività comprende gli aspetti professionali ed umani, cognitivi ed affettivi dell'educatore, dell'operatore o del professionista dell'infanzia o dell'adolescenza. Il nostro metodo valorizza la soggettività del destinatario della formazione, favorendo la sua partecipazione cognitiva ed emotiva al percorso formativo.

     

    Intelligenza emotiva

    Si tratta di favorire non solo l'attivazione, ma anche la consapevolezza e l'ascolto di sé dei destinatari della formazione (siano essi grandi o piccini) al fine di sviluppare la loro "intelligenza emotiva". Per intelligenza emotiva intendiamo fra l'altro la capacità di riconoscere e mettere in parola il mondo dei sentimenti e delle emozioni associato alle esperienze e alle relazioni, la capacità di controllare gli impulsi emotivi senza reprimerli e senza neppure farsene travolgere; la capacità di sviluppare l'efficienza mentale e la comprensione della realtà e di motivarsi in modo globale (con la razionalità e con l'emotività) al raggiungimento di obiettivi e finalità di crescita, di educazione, di tutela; la capacità di percepire e comprendere le emozioni altrui, riuscendo ad essere sensibili ed empatici.

     

    Piccolo gruppo

    Il piccolo gruppo, dotato di stabilità e continuità, è il contesto ottimale dove svolgere l'intervento formativo, perché favorisce fra i partecipanti condizioni di conoscibilità reciproca e di rassicurazione, indispensabili per uscire dall'ansia, dalla diffidenza, dall'inautenticità, dalla presentazione difensiva di falsi Sé e per far emergere problemi reali. Nel gruppo non si parte dalla teoria, anche se ad essa si può e si deve pervenire: il formatore non impone un sapere predefinito, non fa prediche, non sale in cattedra, ma innanzitutto tende a facilitare la costruzione di un buon clima utile alla comunicazione, alla riflessione e all'apprendimento a partire dall'esperienza.

     

    Comprensione e responsabilità

    Si tratta di costruire nel gruppo di formazione un clima dove prevalga l'atteggiamento di comprensione empatica, di rispetto reciproco e di solidarietà e dove vengano meno, per quanto possibile, gli atteggiamenti di giudizio critico, che inibiscono la comunicazione e l'elaborazione delle difficoltà reali. Si cerca in ogni modo di contrastare gli atteggiamenti di colpevolizzazione nei confronti della vita emotiva o nei confronti del proprio o dell'altrui operato. Si tratta di favorire al massimo l'espressione autentica e differenziata dei problemi, dei punti di vista, dei sentimenti. Si tratta di evitare la colpevolizzazione per favorire contestualmente la consapevolezza e l'impegno sulle responsabilità psicologiche, relazionali, giuridiche, professionali, legate agli specifici ruoli istituzionali di educazione, assistenza, cura, tutela dei minori.

     

    Gioco

    L'esperienza del gioco attiva la soggettività nelle sue componenti razionali ed emotive. Il formatore propone giochi finalizzati a far vivere situazioni capaci in qualche modo di presentificare l'esperienza professionale e relazionale a contatto con minori, un'esperienza che può essere successivamente elaborata sul piano emotivo e riflessivo. Le proposte di gioco comprendono tecniche di psicodramma, sociodramma, role playing, Gestalt, giochi di simulazione, di cooperazione, di elaborazione dei conflitti, di percezione del Sé e dell'altro, di fiducia. Tali proposte sono state opportunamente adattate alle diverse specifiche tematiche formative, e sono modulabili in relazione alle specifiche esigenze del gruppo di formazione.

     

    Esperienza

    Il gioco rinvia all'esperienza problematica che si vuole elaborare, la rappresenta, la rievoca e nel contempo propone un'esperienza nuova, altra rispetto a quella che si è già verificata, al fine di rivedere e rielaborare i problemi e le difficoltà dell'esperienza quotidiana. I processi di apprendimento e di formazione risultano più efficaci se i contenuti teorici non vengono trasmessi in modo astratto, bensì vengono ad appoggiarsi all'elaborazione dell'esperienza, sia quella che si produce nel "qui e ora" del gruppo attraverso il gioco, sia quella che riguarda l'impegno e l'attività quotidiana. E' senz'altro vero che non c'è nulla di più concreto di una buona teoria, ma a condizione che questa teoria sappia dimostrare di prendere avvio e di trovare verifica nell'esperienza, sapendola illuminare ed orientare.

     

    Consapevolezza

    Consapevolezza è la capacità della mente di sopportare, di comprendere, di elaborare, di metabolizzare la verità: la verità del mondo interno, che è costituita da limiti e da potenzialità, da sentimenti positivi e da sentimenti nocivi; la verità del mondo esterno che è fatta di amore e di violenza, di vita e di morte. La consapevolezza consente di accettare la realtà riducendo la depressione e incrementando la gioia.

     

     

    I riferimenti culturali

     

    Il Centro Studi Hansel e Gretel è sorto da un lavoro di riflessione sui testi di Alice Miller, che ha dimostrato come i comportamenti di violenza e di strumentalità degli adulti a danno di tutti i soggetti deboli ed indifesi, fra cui i bambini, siano in qualche misura causati dalla rimozione della sofferenza infantile. Sul piano teorico è stato approfondito quel filone della psicoanalisi, che ha elaborato un modello relazionale della mente (in contrapposizione al modello “pulsionale”) e che ha evidenziato il ruolo dell’ambiente nella determinazione della sofferenza infantile (da Sàndor Ferenczi alla psicologia del Sé di Kohut, da Winnicott a Mitchell). Sul piano della tecnica sono stati approfonditi ed utilizzati apporti dello psicodramma classico e della terapia della Gestalt.

    E’ stato studiato il contributo di Carl Rogers sul tema dell’ascolto non giudicante.   Sono stati assunti e metabolizzati schemi e concetti di autori contemporanei sensibili alle tematiche dell’ascolto e del rispetto della vita emotiva (Goleman, Gordon ed altri). E’ stata studiata ed acquisita la letteratura del movimento contro il “Child abuse and neglect” e dei centri specialistici che si occupano da decenni di maltrattamento all’infanzia.

  • Ho svolto per 40 anni il ruolo di formatore con adulti, con adolescenti e con bambini; con genitori e con operatori; con vittime di violenza e con autori di reato. Attraverso l’esperienza ho definito un metodo formativo,  basato sui principi e sui metodi dell’intelligenza emotiva per coinvolgere, per comunicare e far crescere.

     

        Il metodo valorizza la soggettività del destinatario della formazione,   favorendo il suo coinvolgimento cognitivo ed emotivo nel percorso formativo. Un percorso basato su modalità di interazione e di comunicazione bidirezionale per potenziare al massimo la crescita e la partecipazione attiva del destinatario della formazione.

        Si tratta di ridurre al minimo il ricorso al metodo della lezione frontale e della comunicazione unidirezionale, che pone rigidamente il formatore come soggetto che ha un sapere compiuto e che pertanto non ha bisogno di confrontarsi con i saperi  e le esperienze di cui sono portatrici le persone da formare.

     

        Si tratta in altri termini di favorire non solo l’attivazione, ma anche la consapevolezza dei bambini, degli adolescenti e  degli adulti, coinvolti nei progetti formativi, al fine di sviluppare la loro intelligenza emotiva, facendo crescere competenze cognitive ed emotive.

     

        Per intelligenza emotiva s’intende fra l’altro la capacità di riconoscere e mettere in parola il mondo delle emozioni; la capacità di controllare gli impulsi emotivi senza reprimerli e senza neppure farsene travolgere; la capacità di sviluppare la comprensione della realtà e di motivarsi - con la razionalità e con l’emotività - al raggiungimento degli obiettivi di crescita; la capacità di percepire e comprendere le emozioni altrui, riuscendo ad essere sensibili ed empatici.

     

        Il piccolo gruppo continuativo è il contesto ottimale dove svolgere l'intervento formativo, perché favorisce nei partecipanti condizioni di stabilità e di rassicurazione, indispensabili per uscire dall'ansia, dalla diffidenza, dall'inautenticità, dalla presentazione difensiva di falsi Sé, e per far emergere i problemi reali.

     

        Nel gruppo non si parte dalla teoria, anche se ad essa si può e si deve pervenire: il formatore non impone un sapere predefinito, non fa prediche, non sale in cattedra, ma innanzitutto tende a facilitare la costruzione di un buon clima utile alla comunicazione, alla riflessione e all’apprendimento a partire dall’esperienza.

     

       Occorre costruire all’interno del gruppo di formazione un clima dove prevalga l'atteggiamento di comprensione empatica, di rispetto reciproco e di solidarietà e dove vengano meno, per quanto possibile, le attese perfezionistiche e gli atteggiamenti di giudizio critico, che inibiscono la comunicazione autentica e l'elaborazione delle difficoltà reali.

     

        L’esperienza del gioco attiva la soggettività nelle sue componenti razionali ed emotive. Il formatore propone giochi finalizzati a far vivere situazioni capaci in qualche modo di presentificare l’esperienza professionale e relazionale a contatto con gli utenti.  Le riflessioni e le informazioni diventano più efficaci se arrivano a partire da una comunicazione e da una messa in gioco dell’esperienza.

Il dramma di Bibbiano

Un commento al giorno

Il dramma per me potrebbe finire qui, ma Bibbiano rimane un dramma sociale che ha attaccato altri e che chiama in causa tante istituzioni come quelle politiche ed amministrative, la magistratura, i media e i servizi sociali. Non si può far finta che non sia successo niente. La più grande montatura mediatica della storia repubblicana.

Chi sono?

Sono Claudio Foti, psicologo, psicoterapeuta, psicodrammatista.

40 anni di impegno nel  lavoro di consapevolezza, nella cura di me e degli altri. Ho dedicato la mia vita alla psicoterapia per trasmettere alle persone fiducia e speranza nel cambiamento.

Eventi programmati

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I miei incontri più importanti

Claudio Foti
Claudio Foti e Alice Miller
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Psicologia Buddista
Daniel Goleman

Psicoanalisi

Alice Miller

Psicol. Buddista

Daniel Goleman 

La psicoterapia
del Trauma

Trauma è un evento o un insieme di eventi estremi, inaspettati, lesivi che sconvolgono il presente e minacciano il futuro del sopravvissuto, perché il cervello ne registra e conserva le emozioni, le informazioni e l’immagine negativa di sé associate all’esperienza traumatica.

Solo all’interno di una relazione terapeutica sicura ed accogliente il trauma può essere riattraversato e rielaborato.

Attività e competenze

Coppia di donne
Coppia al tramonto

La Psicoterapia di
Coppia

Nasciamo e ci individuiamo come soggetti umani all’interno della relazione madre-figlio o madre-figlia ovvero dentro una coppia. E nella coppia, nel corso della nostra esistenza adulta, possiamo tentare di realizzarci, cercando vicinanza emotiva ed intimità affettiva.

Attività e competenze

Meditazione

Le pratiche
Meditative

Le tecniche meditative rappresentano uno strumento di cura e di guarigione potentissimo nella misura in cui sono comprese nella loro finalità e vengono portate avanti con continuità, con correttezza e con benevolenza verso sé stessi.

Attività e competenze

Correre in un campo

Psicodramma

La mia attività di psicodrammatista si è svolta per anni in gruppi di psicoterapia, in gruppi di formazione e ad anche in gruppi larghi e molto larghi di discussione e di elaborazione culturale, quali seminari e convegni.

La finalità è quella di sviluppare e di utilizzare le capacità di accoglienza, di contenimento e di solidarietà del gruppo per favorire processi di valorizzazione e di espressione del Sé di ciascun individuo.

Attività e competenze

Gruppo di supporto

Attività di
Supervisione

La mia attività di supervisione mira a potenziare innanzitutto il gruppo come risorsa, favorendo un clima di confronto tra punti di vista professionali ed emotivi diversi fra loro, fra atteggiamenti non coincidenti di identificazione e di controidentificazione verso i soggetti coinvolti nel caso in discussione.

Attività e competenze

Consulenza finanziaria

La consulenza
in ambito Giudiziario

La consulenza tecnica in ambito giudiziario può essere disposta dal giudice o dal pubblico ministero oppure può essere introdotta nel procedimento penale o civile da una parte privata che può essere interessata a vedere rappresentate nella causa le proprie ragioni in un contesto dove queste ragioni rischiano di non essere considerate in modo sufficiente o di non essere considerate affatto.

Attività e competenze

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